La storia. In quegli scatti la città ferita

Uno scatto per reagire. Per rimanere «ancorato alla realtà e affrontare il terremoto», ma anche per rispondere a quella richiesta di fissare con le immagini la città e la gente «con rispetto, etica e correttezza». Si è sentito sulle spalle tutta la responsabilità del mestiere di fotografo l’aquilano Roberto Grillo; un lavoro che prima del 6 aprile 2009 faceva come attività commerciale, pur immortalando L’Aquila per hobby dal 1980. È stato il primo a raccontare la città ferita all’alba del terremoto, le sue inquadrature sono state scelte dai maggior quotidiani italiani e uno scatto sui funerali di Stato delle vittime ha conquistato persino la prima pagina del New York Times. Luoghi e persone che lo hanno portato a esporre anche le sue opere d’arte nel complesso romano del Vittoriano nel 2012 e a L’Aquila nel 2013. Il sisma, però, ha scosso pure la sua tecnica, facendolo passare prima dal bianco e nero al colore «per esigenze giornalistiche dei primi mesi», e poi tirando fuori la sua vena artistica di reporter di strada con l’invenzione della «fotografia miopizzata». È insomma l’immagine dai contorni sfocati, ma fortemente evocativi, la chiave di lettura di Roberto sul capoluogo abruzzese di oggi. «Un percorso di sofferenza per le vittime e la città – ammette ora Roberto – unito a una sofferenza personale, mi hanno portato a togliere gli occhiali e a farli indossare alla macchina fotografica». Una personale catarsi attraverso le immagini-notizie, insomma, che oggi vorrebbe trasmettere ai più giovani attraverso uno spazio nel centro cittadino, in cui le esposizioni possano essere intervallate da veri e propri corsi di «giornalismo per immagini». Obiettivo? Diffondere la cultura fotografica a L’Aquila. «La fotografia è palestra di vita – è la conclusione di Grillo – perché mette in contatto le persone con se stesse».
 
Alessia Guerrieri
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