Così il nostro Presidente, Francesco Zanotti, descrive per la pagina del “Portaparola” di Avvenire del 23 settembre gli operatori dell’informazione dei media cattolici: “una informazione da amare”…
Uno sguardo aperto sul mondo. Un luogo privilegiato in cui potersi incontrare. Una piazza nella quale ritrovarsi, dialogare, mettere insieme esperienze diverse. Una nuova agorà, come numerose volte è stato ripetuto e indicato in documenti e in incontri tra quanti operano nei mezzi della comunicazione sociale.
Papa Francesco invita tutti a uscire, a farci prossimi con chi vive accanto a noi. Ci sollecita a tenere desta la nostra attenzione su ciò che ci circonda. Non ci vuole chiusi nelle sacrestie («Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade» scrive nella Evangelii gaudium). Parafrasando, possiamo dire che non ci immagina abbassati sulle scrivanie e sui monitor delle nostre redazioni. Ci desidera con le scarpe consumate, stanchi e affaticati, purché in ascolto dei bisogni delluomo di oggi.
«Andare nelle periferie» è unaltra sollecitazione del Pontefice, geografiche ed esistenziali. Ancora lo stesso ritornello, potremmo obiettare. Invece è la nostra vocazione, e non solo da ora, ma da sempre, da quando i cattolici, nella seconda metà dellOttocento, decisero di impegnarsi nella vita sociale italiana. Tra le infinite opere realizzate ci sono le centinaia di giornali che avevano lo scopo dichiarato di narrare la vita della gente.
Con modi diversi e con tecniche aggiornate, lo scopo rimane immutato. Certo, i tempi odierni sono quelli digitali, ma ciò non toglie che lattenzione alluomo che vive, soffre e spera nelle mille contrade nel mondo debba essere la stessa. Allora, in quello che mettiamo in campo ogni giorno, siamo chiamati ad agire prima di tutto con «responsabilità, umanità e cuore». È stato ricordato anche la scorsa settimana a Ragusa-Ibla nel corso del XXIII Seminario di aggiornamento proposto dalla Fisc sul tema «Raccontiamo i migranti». Mettiamo in pagina il racconto delle storie di chi raggiunge le nostre latitudini, ma per realizzare questo obiettivo prima di tutto dobbiamo metterci in ascolto. «Silenzio e ascolto »: ancora una volta è un suggerimento di papa Francesco per chi si occupa di mass-media. Ci vuole un tempo per riflettere, per fermarsi, per ragionare, per meditare. E un tempo per stupirsi, per saper vedere con occhi nuovi. Per dare voce a chi non ha voce, per evitare «la globalizzazione dellindifferenza», il vero dramma dei nostri tempi. Giorni e ore in cui facciamo labitudine a tutto, al dolore indistinto e lontano, alle tragedie senza nomi.
Torniamo ogni giorno allessenziale, in un itinerario di quotidiana conversione e di rinnovamento. In questo modo sapremo realizzare uninformazione libera e credibile, svincolata dai poteri forti, dalla parte degli ultimi, senza pregiudizi, costantemente in cammino alla ricerca della verità. Uninformazione capace di farsi apprezzare per un impegno serio, competente e onesto. Puntuale, mai approssimativa, desiderosa di suscitare interesse e in grado di dare ma anche di ricevere, grazie a un lavoro di scavo, di indagine, di meraviglia. Che sa mettere in campo un linguaggio originario in grado di andare alla sorgente della parola e al cuore di chi la ascolta e di chi la pronuncia. Infine, ma non certo per importanza, uninformazione da sostenere, da stimare, da diffondere e da valorizzare. In una parola, da amare.
Papa Francesco invita tutti a uscire, a farci prossimi con chi vive accanto a noi. Ci sollecita a tenere desta la nostra attenzione su ciò che ci circonda. Non ci vuole chiusi nelle sacrestie («Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade» scrive nella Evangelii gaudium). Parafrasando, possiamo dire che non ci immagina abbassati sulle scrivanie e sui monitor delle nostre redazioni. Ci desidera con le scarpe consumate, stanchi e affaticati, purché in ascolto dei bisogni delluomo di oggi.
«Andare nelle periferie» è unaltra sollecitazione del Pontefice, geografiche ed esistenziali. Ancora lo stesso ritornello, potremmo obiettare. Invece è la nostra vocazione, e non solo da ora, ma da sempre, da quando i cattolici, nella seconda metà dellOttocento, decisero di impegnarsi nella vita sociale italiana. Tra le infinite opere realizzate ci sono le centinaia di giornali che avevano lo scopo dichiarato di narrare la vita della gente.
Con modi diversi e con tecniche aggiornate, lo scopo rimane immutato. Certo, i tempi odierni sono quelli digitali, ma ciò non toglie che lattenzione alluomo che vive, soffre e spera nelle mille contrade nel mondo debba essere la stessa. Allora, in quello che mettiamo in campo ogni giorno, siamo chiamati ad agire prima di tutto con «responsabilità, umanità e cuore». È stato ricordato anche la scorsa settimana a Ragusa-Ibla nel corso del XXIII Seminario di aggiornamento proposto dalla Fisc sul tema «Raccontiamo i migranti». Mettiamo in pagina il racconto delle storie di chi raggiunge le nostre latitudini, ma per realizzare questo obiettivo prima di tutto dobbiamo metterci in ascolto. «Silenzio e ascolto »: ancora una volta è un suggerimento di papa Francesco per chi si occupa di mass-media. Ci vuole un tempo per riflettere, per fermarsi, per ragionare, per meditare. E un tempo per stupirsi, per saper vedere con occhi nuovi. Per dare voce a chi non ha voce, per evitare «la globalizzazione dellindifferenza», il vero dramma dei nostri tempi. Giorni e ore in cui facciamo labitudine a tutto, al dolore indistinto e lontano, alle tragedie senza nomi.
Torniamo ogni giorno allessenziale, in un itinerario di quotidiana conversione e di rinnovamento. In questo modo sapremo realizzare uninformazione libera e credibile, svincolata dai poteri forti, dalla parte degli ultimi, senza pregiudizi, costantemente in cammino alla ricerca della verità. Uninformazione capace di farsi apprezzare per un impegno serio, competente e onesto. Puntuale, mai approssimativa, desiderosa di suscitare interesse e in grado di dare ma anche di ricevere, grazie a un lavoro di scavo, di indagine, di meraviglia. Che sa mettere in campo un linguaggio originario in grado di andare alla sorgente della parola e al cuore di chi la ascolta e di chi la pronuncia. Infine, ma non certo per importanza, uninformazione da sostenere, da stimare, da diffondere e da valorizzare. In una parola, da amare.
Francesco Zanotti
Fonte: Avvenire
martedì 23 settembre 2014