Prosegue la battaglia di Mosul: loffensiva per la liberazione della capitale irachena dello Stato Islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi, lanciata lo scorso 17 ottobre dallesercito regolare, prosegue con difficoltà, tra insidie e trappole. Dopo un mese di combattimenti i governativi – sostenuti dalla coalizione internazionale a guida Usa e da 45mila uomini, tra soldati, forze curde e milizie sciite – sono riusciti infatti a liberare solo pochi degli 80 quartieri del capoluogo e in due di questi si spara ancora. Si tratta di zone note a Dalida Gorgees Burtrus che a Mosul è nata 25 anni fa. Le notizie che arrivano dal fronte parlano ancora di guerra e hanno leffetto di allontanarla ogni giorno di più dalla sua terra. Lei che da Mosul è fuggita nel giugno del 2014, subito dopo linvasione dello Stato Islamico, e oggi vive da profuga con la sua famiglia ad Amman. Accolta dalla Chiesa locale, Dalida, cattolica di rito caldeo, passa le sue giornate, nella zona di Jabal Webde, in un piccolo atelier di moda, frutto di un progetto promosso dal Patriarcato latino di Gerusalemme, dove, insieme ad altre 11 sue amiche di Mosul, Kirkuk e Baghdad, tentano di far rivivere colori e tessuti della tradizione mediorientale, ma soprattutto di ricucire la trama di una speranza distrutta dalla violenza della guerra e dello Stato islamico. La loro storia – raccontata ai partecipanti al viaggio Fisc-8×1000 senza frontiere svoltosi due settimane fa in Giordania – oggi si intreccia con quella della loro griffe, che porta significativamente il nome di Rafidin – Made by Iraqi girls. Rafidin vuol dire i due fiumi, termine usato comunemente per indicare il Tigri e lEufrate, i due corsi dacqua dellIraq. Vedere oggi la battaglia di Mosul per questa giovane ragazza irachena, diplomata in tecnica informatica, vuole dire riaprire un libro di ricordi dolorosi. Che cominciano molto prima dellarrivo del Daesh nel 2014. A Mosul soffriamo dal 2003, molto prima dellarrivo dello Stato Islamico – racconta la giovane sospendendo per un po il suo lavoro sartoriale -. Abbiamo patito le guerre precedenti, gli scontri confessionali nati dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel dicembre del 2003 – e, dal 2014, larrivo di Daesh e il terrorismo. Non siamo fuggiti una volta sola, ma più volte in questi anni, per trovare rifugio nella Piana di Ninive, dove ci sono tanti villaggi cristiani. I ricordi si fanno più recenti e corrono al giugno del 2014, quando a Mosul entrano i combattenti di al Baghdadi. In quei giorni – ricorda Dalida abbiamo perso tutto ciò che avevamo: casa, affetti, scuola, lavoro, amici. Nella nostra zona, poco fuori città, i miliziani hanno subito tolto lacqua, la luce, e bloccato larrivo di ogni genere di fornitura alimentare. Siamo fuggiti con quello che avevamo addosso. Allinizio abbiamo sostato fuori dal centro urbano perché credevamo che lesercito iracheno potesse riprendere subito in mano la città. Abbiamo atteso invano. Nel frattempo si stringeva la morsa contro i cristiani ai quali veniva intimato di convertirsi allislam o di pagare la tassa di protezione. Lalternativa era la morte. La fuga da Mosul e dai villaggi vicini è stata drammatica perché le strade erano intasate di gente che fuggiva con ogni mezzo. Tutto questo avveniva sotto il martellamento dellIsis. Eravamo preparati a tutto, sapendo che la fuga era lunica soluzione. Siamo fuggiti solo con quello che avevamo addosso. Allinizio abbiamo cercato riparo verso il nord iracheno, in Kurdistan, ma non cerano le condizioni per vivere e quindi abbiamo deciso di venire in Giordania nella speranza di poterci ricostruire una vita dignitosa. Oggi si combatte per la liberazione di Mosul, ma non basta a far tornare a Dalida e alle sue amiche la voglia di rientrarvi…