La povertà vera cè, purtroppo sta crescendo, ma difficilmente si vede. Quella che si vede troppo spesso è una povertà ostentata, ma meno tragica, quella dei professionisti dellassistenza. Quelli che sanno dove andare a chiedere, come ottenere un sussidio, quando cè qualche distribuzione di viveri o abbigliamento solidale. In queste pagine, pubblichiamo i dati ufficiali della situazione biellese, ma anche due storie di vita molto personali: la vicenda di un padre vedovo disperato e la testimonianza di Alberto Scicolone, ex presidente del Belletti Bona, impegnato da sempre nel sociale, alle prese con la difficile gestione del suo negozio solidale, spesso preso dassalto da chi sa come chiedere, ma non sempre in grado di andare incontro alle necessità di chi non chiede perché non lo ha mai fatto.
Una vicenda umana toccante, frutto di una serie di combinazioni sfortunate che hanno trasformato la vita di una tranquilla famiglia biellese in una sorta di incubo. Giovanni e Sandra (i nomi sono di fantasia) lavorano entrambi, lui è operaio tessile, lei ha un impiego sicuro e qualificato. Comprano un appartamento a Biella, hanno due bambine: una vita normale, come quella di tante famiglie. Poi tutto precipita. La ditta tessile in cui Giovanni lavora come operaio specializzato, chiude i battenti a causa della crisi. Inizia così la trafila della cassa integrazione. Poco dopo la donna allimprovviso si ammala gravemente e nel giro di qualche mese muore lasciando due figlie di uno e otto anni.
Sono passati da allora due anni. Intanto la cassa integrazione è diventata mobilità.
«Ora prendo 700 euro al mese» spiega Giovanni. «La mobilità mi ha permesso di occuparmi della mie bambine dopo il lutto. A marzo però cesserà e io resterò a zero reddito. Sono andato avanti grazie alla mia liquidazione, che è finita in poco tempo, tra tasse, successione, emergenze. Fino a maggio cera mia madre che mi ha dato una mano con la casa e le bambine. Ora anche lei se nè andata».
Giovanni ha 42 anni. Cerca lavoro, ma quando spiega di essere genitore unico di figli piccoli le porte si chiudono. «Le aziende chiedono flessibilità e io, in questa condizione, non posso garantirla. La figlia grande esce da scuola alluna, quella piccola è alla materna per fortuna, ma a metà pomeriggio devo riportarla a casa
Sono solo, chi si può occupare di loro?».
Giovani ha ancora lalloggio in cui vive. Paga ovviamente le spese condominiali e le tasse, oltre alle utenze. «Non sono considerato abbastanza povero, perché ho un appartamento. Qualcuno mi dirà che dovrei venderlo per tirare avanti. Con il mercato di oggi posso solo pensare di svenderlo (sempre che io lo possa fare, visto che è in parte di proprietà delle mie figlie) restando con qualche migliaio di euro. E poi?».
Ha frequentato i corsi di formazione durante la mobilità, ma di un lavoro neppure lombra.
Si dispera. «Non voglio la carità di nessuno. Vorrei solo lavorare, portare avanti questa famiglia, restare a casa mia. E mi chiedo: ma chi viene aiutato a Biella? Quali situazioni sono tutelate? Io sono in un momento di terribile difficoltà e non ho mai chiesto niente a nessuno
E ora cosa rischio? Di perdere le mie figlie? Possibile che non esista una soluzione?».
Giovanni si è dovuto confrontare con problemi che sembrano assurdi per chi non è abituato a vivere di assistenza. Per esempio quando, rimasto improvvisamente vedovo, ha chiesto che la bambina di un anno fosse accolta al nido. «Mi dissero che non avevo fatto domanda in tempo utile
ma la morte di mia moglie non era certo prevedibile. Solo grazie allinteressamento dellassessore ai Servizi sociali di allora, Vanna Milani, sono riuscito a far entrare lo stesso la bambina allasilo».