Un Francesco sul seggio papale non si aspettava. Labbiamo sempre immaginato e visto negli affreschi ai piedi, in umile e rispettosa reverenza, davanti a Papa Innocenzo o Onorio. Ora invece è nel trono più alto. Tutto il mondo lo guarda ed è ai suoi piedi. Ma quale trono!? Egli si china e chiede la benedizione del popolo, prima della sua benedizione invocata sul popolo. Nomen est omen, il nome è un presagio. Quando è scelto, se non è nome darte o di teatro, è programma. Una scelta chiara di campo, di stile di vita e dimpegno. Tutti sanno chi è Francesco nella e per la Chiesa. Diciamo di più, Francesco nel e per il mondo: Vir catholicus e vere apostolicus, un uomo universale, un universale concreto, personale. Nel suo nome si ritrovano amanti della natura e dellambiente, operatori di pace e tutto il mondo della povertà e dellemarginazione.
San Francesco si convertì incontrando i lebbrosi e oltre alla povertà ebbe il dono di poter fare misericordia, cioè di poter amare con sentimenti vivi e profondi. Nel Testamento afferma che fu il Signore Dio a condurlo tra i lebbrosi: feci con loro misericordia – scrive – e ciò che prima mi sembrava amaro divenne dolce come il miele. Francesco dAssisi ha un forte legame con il Pontefice romano che egli chiamava semplicemente il signor Papa, e si recò da lui per ottenere lindulgenza della Porziuncola e lapprovazione della regola per i suoi frati.
Francesco è anche nome di riforma della Chiesa. Questa parola, di cui tanti hanno paura, è stata intesa da Francesco come un compito a lui affidato dal Crocifisso di san Damiano, che gli parlò e gli disse: Francesco, va’, ripara la mia casa che è in rovina. Una parola forte che, ripetuta oggi nel contesto dellelezione di un nuovo Pontefice romano, suscita risonanze molteplici e pertinenti. La parola del Crocifisso di san Damiano suona anche più forte e impegnativa di quella usata dal Concilio Vaticano II, ove afferma che la conversione del cuore e la riforma della Chiesa, insieme alla preghiera, sono le condizioni essenziali della vita e dellunità della Chiesa, anche nella prospettiva dellunione tra tutti i battezzati.
Nella prospettiva del rinnovamento della Chiesa possiamo anche intravvedere la continuità con Benedetto XVI, ispirato a un altro Santo umbro, Benedetto da Norcia, anchegli per vie diverse, secondo le esigenze di epoche tra loro molto distanti (più di sette secoli di distanza luno dallaltro) impegnato a elaborare un modello di vita secondo il Vangelo e a costruire unEuropa cristiana. Il rinnovamento della Chiesa che il movimento originato da Francesco operò allinterno della Chiesa nel segno dellumiltà e dellobbedienza è riconosciuto come la vera riforma o meglio il vero tipo di riforma possibile ed efficace perché non mette in pericolo lunità e la pace interna.
In una dichiarazione del cardinale Bergoglio di qualche tempo fa abbiamo letto: La mia gente è povera e io sono povero, per spiegare il motivo per cui abitava in un appartamentino a Buenos Aires e si preparava la cena da solo. Leggiamo anche che ai preti raccomandava di tenersi lontani da quella che De Lubac – un gesuita come Bergoglio – chiama mondanità spirituale, che significa mettere al centro se stessi.
La scelta del nome Francesco mi pare anche un segnale di affetto verso Benedetto XVI, ancor più di quanto sarebbe stato se avesse scelto il nome di Benedetto XVII. Sono, infatti, due scelte di novità e di stacco dallimmediato per una dilatazione dellorizzonte e una ricerca di ciò che è originario, radicato nel solco di una tradizione che continua a dare frutti di vita spirituale e di orientamento pastorale. Sono nomi che varcano i confini degli ordini religiosi, delle Congregazioni e di tutto ciò che sa di recinto chiuso e limitato da cui qualcuno possa sentirsi escluso.