Come superare «povertà critica» e «rifiuto del confronto», come auspica Mattarella?
È una sorta di paradosso. L’odio diventa fattore di socializzazione e di appartenenza. Aiuta a trovare un posizionamento nel dibattito. Occorre perciò una presa di coscienza di ciò che siamo on-line.
Cosa diventiamo sul web?
Vita on line e off line non sono separate, ma una sorta di ‘continuum’ esistenziale. Che devia sempre più spesso. La necessità, dunque, è educare i cittadini a una qualità etica che va trasferita in tutti gli spazi di azione, rappresentazione e narrazione. Se non ci rendiamo conto che il web è una proiezione della nostra vita, continueremo ed essere corresponsabili del bene e del male, quindi anche del dilagare dell’odio.
C’è anche un richiamo al coraggio di andare controcorrente. Si può?
Rispetto a quello della vita reale lo spazio della vita on-oline è infinito, disponibile, spesso alimenta e sfrutta l’ anonimato. Non ci sono i filtri tipici della socialità: buon senso, pazienza, temperanza. In un certo senso esplode l’umanità, l’istintualità, dell’individuo. Quindi è difficile costruire argomentazioni pacate. Ma nessuno ci vieta di provare a farlo con un lavoro certosino.
Quale il ruolo di politici e media?
È necessario rieducare chi opera nelle istituzioni politiche e i giornalisti. Cioè coloro che – si pensi ai tanti codici deontologici – dovrebbero essere già educati e vincolati a responsabilità. Ma spesso si dimenticano dei loro doveri e alla luce del loro ruolo di opinion maker diventano quelli che Mattarella chiama agenti del contagio.
C’ è anche chi organizza un vero business sulle ‘bufale’.
Mi auguro che le fake news non diventino un genere giornalistico. Anche i giornali sono sottoposti a logiche commerciali e una notizia ‘acchiappaclick’ è per loro snackable.
Come uno snack?
Sì. Mangiamo le patatine perché ci piacciono, ma non ci rendiamo conto che fanno male. Così è con notizie fornite a basso prezzo e immediatamente disponibili.