Attilia Zocca è stata la mia insegnante di italiano e storia: mi accoglie a casa sua, ci accomodiamo al tavolo e senza fare troppe domande mi metto in ascolto della sua storia, insieme al suo bellissimo gatto Artù, anche lui attento a non perdersi una parola
«Sono nata a Saluzzo, da genitori entrambi saluzzesi, mio papà era di origine veneta ma, essendo nato a Saluzzo, si è sempre sentito un saluzzese doc. Ho avuto uninfanzia del tutto normale, molto bella e piena damore, poiché ho avuto la fortuna di viverla con due genitori fantastici e sempre molto uniti. Tuttavia alletà di nove anni, nel pieno della spensieratezza di una bambina come tante, sono iniziati i miei guai con la vista: tutto è cominciato con un calo visivo che andava via via peggiorando, poi ho subito più interventi presso lospedale di Barcellona e, in terza media, mi sono accorto di aver perso del tutto la vista».
Come ha affrontato questa dura realtà?
«La mia famiglia è stata la mia forza, non si è arresa, specialmente mia madre ha cercato innanzitutto di farmi continuare a vivere una vita normale, in mezzo agli altri. Inoltre è sempre stata convinta che dovessi avere una certa cultura, per mantenermi critica e attiva nel mondo che, non potevo più vedere, ma che era comunque la mia casa.
Con non poche difficoltà mi sono iscritta alle magistrali qui a Saluzzo, ho dovuto imparare il Braille e a scrivere a macchina, ed è stato importantissimo laiuto della prof. Aimar, che ha sostenuto la mia mamma e mi è stata vicina durante le superiori e anche dopo, alluniversità».
Come faceva a seguire le lezioni, a studiare, insomma a essere una studentessa come le altre?
«Mia mamma mi registrava i libri, lo ha fatto per un numero enorme di testi, io studiavo ascoltando le registrazioni e nei compiti in classe veniva a scuola con me e scriveva per me sotto dettatura: non volevo alcun aiuto o trattamento speciale. Mi è stata vicina anche durante lesame di stato, che sono riuscita a superare bene e a quel punto mi trovavo di fronte ad un bivio: avrei potuto smettere di studiare e dedicarmi al lavoro che molto ciechi fanno ossia la centralinista; ma io non volevo. Oppure avrei potuto insegnare ed, esclusa la scuola elementare, avrei dovuto proseguire gli studi per diventare professoressa. Mi sono iscritta alla facoltà di Pedagogia ad indirizzo psicologico e quando sono arrivata alla laurea, sempre grazie allaiuto di mia madre e della prof. Aimar, la mia e la loro soddisfazione è stata tanta. La gioia lho condivisa con chi mi ha accompagnato lungo tutto il mio percorso e mia mamma, commossa, mi ha confessato che nonostante le voci della gente, avevamo vinto noi!»
Comè iniziata la sua professione?
«Sempre sotto consiglio e guida della prof. Aimar, ho presentato la domanda per essere assunta come insegnante e nel mese di ottobre mi chiamarono per la mia prima supplenza, al termine della quale ricevetti, con sorpresa, i ringraziamenti del preside. Nel 1990 ho superato il concorso per entrare in ruolo; nell88 ero stata assunta allIstituto tecnico Denina di Saluzzo dove sono rimasta fino al giugno scorso e dove ho trovato una seconda famiglia, bravi studenti e colleghi eccezionali».
Che cosa intende per impegno nel sociale?
«Grazie alla mia curiosità ed intraprendenza mi sono infilata nellambito parrocchiale della Pastorale della sofferenza guidata attualmente dal parroco di Venasca. Ci si ritrova per pregare, parlare e collaborare per la valorizzazione del sofferente. Questo gruppo porta avanti la novità introdotta anni fa da mons. Novarese: lidea del malato non inteso come una persona limitata ma capace di tirare fuori tutte le sue energie. E la convinzione che non vi è persona che pos…