NELSON MANDELA

I settimanali diocesani dedicano ampi spazi alla figura di Nelson Mandela, morto lo scorso 5 dicembre a Johannesburg (Sudafrica). La sua “scomparsa”, dice Salvatore Coccia, direttore dell’Araldo Abruzzese (Teramo-Atri), “è per noi tutti occasione di riflessione, occasione per fermarci dalla corsa frenetica e spesso inutile. In silenzio. Vorremmo tanto che il suo messaggio venisse recepito nel modo giusto da tutti coloro i quali hanno in mano la nostra ‘cosa pubblica’: meno parole, meno rumori, slogan e più silenzio, più attenzione alla persona”. Per Giuseppe Rabita, direttore di Settegiorni dagli Erei al Golfo (Piazza Armerina), “tutta l’enfasi mostrata nel celebrare Mandela, l’elogio delle sue capacità politiche e della sua eredità spirituale non trova riscontro nelle scelte concrete dei suoi ‘tifosi’. Come se celebrandone la figura, si volesse giustificare il proprio scarso impegno e la propria mediocre coerenza”. Mentre il 10 dicembre veniva celebrato il funerale di Mandela, confida Vincenzo Finocchio, direttore dell’Appennino Camerte (Camerino-San Severino Marche), “ho riflettuto molto sulla sua figura e la sua opera. (…) Ho avvicinato Mandela all’induista Gandhi, teorico della non violenza per l’indipendenza dell’India (1947), al cristiano cattolico Julius Nyerere, primo presidente del Tanzania (1964)”. Giuseppe Piancastelli, direttore del Piccolo (Faenza-Modigliana), riporta nell’editoriale, ripreso anche dal Nuovo Giornale (Piacenza-Bobbio), le parole con cui Mandela concludeva la sua autobiografia: “Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà… e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna, ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un attimo per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità e io non oso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora alla fine”. Luce e Vita (Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi) si sofferma sulle “dichiarazioni d’affetto” giunte “dal mondo intero”: “I messaggi che spiccano di più sono quelli della gente comune, i pensieri che si levano dalle migliaia di baraccopoli del mondo, in cui quel volto sorridente ricordava a tutti, anche agli ultimi, che la speranza non è vana quando si lotta per una giusta causa”.

 
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